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Feb 15


Venerdì 15 febbraio, 11 di mattina. Se non fossimo ai piedi delle Alpi invece che sulle rive dell’Adriatico, ascoltando le voci intorno a noi ci sembrerebbe di camminare sul lungomare di Pola o tra i vicoli di Zara. La carreggiata di corso Cincinnato è piena di gente, tanti altri si sono affollati sul giardinetto che funge da spartitraffico.
E‘ una giornata importante per i torinesi di origine istriana e dalmata, che sono venuti qui almeno in trecento: teste grigie ma anche un po’ di giovani, discendenti di quegli italiani fuggiti dai territori assegnati alla Jugoslavia all’indomani della Seconda guerra mondiale. Territori dove italiani, sloveni e croati avevano bene o male convissuto senza troppi problemi per secoli sotto il governo asburgici. Un equilibrio rotto dalla parentesi fascista, con l’”italianizzazione” forzata di quelle terre ricongiunte all’Italia dopo la sconfitta e la disgregazione dell’Austria-Ungheria, nel 1918. E poi, la Seconda guerra mondiale, la sconfitta del nazifascismo, l’assegnazione alla Jugoslavia dell’Istria, di Fiume, di Zara. Le rappresaglie sanguinose dei soldati del presidente Josip Broz, Tito, l’esodo verso l’Italia tra il ’46 e il ’51 di trecentocinquantamila persone.
Come molti esuli giuliani amano ricordare, si trattò di un dramma rimosso per decenni. Una parte dell’opinione pubblica riteneva che si trattasse di fascisti e latifondisti, in più la rottura fra Tito e l’Unione Sovietica, in tempi di Guerra Fredda, consigliava di evitare troppe tensioni con Belgrado… Alla fine, la verità storica si è fatta strada, nonostante pregiudizi, propagande incrociate e realpolitik. Ma il calvario dei profughi continua, anche se in modo meno drammatico. Infatti, questa giornata è importante perché si inaugura, in corso Cincinnato angolo via Pirano, la lapide in ricordo dell’esodo giuliano frantumata a martellate una delle scorse notti.
Un episodio non isolato, ricorda uno degli animatori dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Sergio Vatta: “Assistiamo al rinascere del negazionismo sull’esodo giuliano e sul dramma delle foibe, inteso a minimizzare quella vicenda e dandole una veste antifascista“ denuncia Vatta, aggiungendo: “Siamo invece italiani che hanno sofferto a causa del fascismo e a causa del comunismo. Occorrerebbe provvedere anche politicamente a contrastare il negazionismo, che oltretutto manca di rispetto ai 600.000 italiani caduti per le terre irredente”. Ma c’è anche altro un altro cruccio, e non da poco perché non riguarda bande di intolleranti ma le istituzioni stesse. Lo sottolinea con tono fermo ma pacato un altro esponente dell’associazionismo giuliano, Fulvio Aquilante. Spesso la burocrazia, nei suoi documenti, considera i profughi giuliani come nati all’estero, assimilandoli a cittadini extracomunitari. Ne è un esempio il codice fiscale, per il quale il cittadino italiano di origine istriana o dalmata risulta essere uno straniero. Un problema spesso legato ai software dei quali dispongono le diverse branche della Pubblica amministrazione. “Vorremmo istituire un tavolo tra noi e le Istituzioni per cercare di risolvere questo problema, che nella sua banalità riapre quotidianamente una ferita profonda in ognuno di noi”. Dopo i saluti dei rappresentanti delle istituzioni locali (per la Città di Torino, il presidente del Consiglio comunale e la presidente della V Circoscrizione) è risuonato l’Inno di Mameli: senza banda musicale, senza base registrata. Poche voci timide e quasi stonate all’inizio, divenute alla fine un coro commosso e possente.

[fonte: cittAgorà]

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Mar 09


In occasione della Giornata delle donne, è stato inaugurato oggi, presso i giardini di Via Verolengo, un monumento dedicato alle operaie della “Superga – Fabbriche Riunite Industria Gomma Torino”, storica fabbrica torinese della gomma; un gesto che vuole intrecciare i luoghi e la loro memoria con i temi del lavoro e della città. Nel corso dei secoli, il monumento è stato la rappresentazione, imponente e ingombrante, di un’azione e una data per lo più dedicata alla storia degli uomini: conquiste, rivoluzioni, studi e cultura.
Rovesciando questo racconto univoco, l’artista Cosimo Veneziano ha deciso di realizzare un monumento dedicato al lavoro delle operaie nel corso del XX secolo.
A partire dal titolo dell’ opera “Questo è dunque un monumento?”, Veneziano solleva una riflessione su tutto il ‘vuoto di memorie’ che accompagna la storia delle donne e in particolare il loro ruolo nel mondo del lavoro. L’artista torinese ha posizionando sulla fontana preesistente di via Verolengo quattro semplici lastre di Cor-ten (cm. 50×100 ognuna) che riproducono i quattro gesti che quotidianamente le operaie facevano nel corso della loro giornata in fabbrica. Come tratti di un disegno a matita, le lastre riproducono solo le quattro azioni che venivano ripetute per inserire il tessuto nella macchina e permettere la cucitura alla tomaia di gomma. Gesti che, dai primi decenni del XX secolo e fino agli anni Settanta, si svolgevano nel Reparto 52 che sorgeva proprio sull’area che ospita il monumento e che, in anni recenti, è stata riconvertita in area verde.
Quelle proposte da Veneziano sono dunque ‘tracce di storia’, spunti di riflessione che partono dal lavoro delle donne e aprono altri interrogativi in merito alla difficile relazione tra i generi e le generazioni, la memoria e lo spazio pubblico.
La fontana scelta dall’artista come supporto dell’opera e realizzata agli inizi degli anni Duemila, ha dimensioni imponenti ed è caratterizzata da una pozza d’acqua e da due ampie ali laterali ed è posizionata nella stessa area dove sorgeva il padiglione 52 oggi è spontaneamente nominata dai cittadini del quartiere: giardinetti Superga. Coniugando luoghi e forme urbane, narrazioni e tempi della Storia, l’azione di Cosimo Veneziano ha permesso a un anonimo arredo urbano di trovare e accogliere una storia importante ma che ancora manca di un riconoscimento collettivo e al contempo sollevare altre riflessioni in merito alla funzione sociale e politica del monumento, del documento e della responsabilità civica di chi decide d’intrecciare alcuni temi centrali del XX secolo con quelli di questo difficile primo decennio del XXI.

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