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Giu 16


Se sul finire degli anni ’70 del secolo scorso la Transavanguardia proponeva modelli di superamento alla sterilità delle neoavanaguardie ormai consumate su temi iperconcettuali, all’inizio di questi anni gli artisti di Transafricana propongono modelli alternativi, di recupero del sentimento del reale, della vita, rifiutando la corsa verso la globalizzazione estetica che pervade ormai tutta l’arte occidentale.
Come un grande pachiderma addormentato, l’Africa si risveglia da un sonno ancestrale e irrompe con grande forza ed energia nella storia dell’arte contemporanea internazionale, rivalutando la magia della vita e la sacralità dell’arte.
Citando Paul Klee, Achille Bonito Oliva afferma che “l’arte non ripete le cose visibili, ma rende visibile”. Progetto e casualità creativa si intrecciano simultaneamente nell’opera, portata a bilanciare con la complessità dell’arte l’insufficienza di una realtà schematica e riduttiva. L’arte procura stordimento e nello stesso tempo conoscenza, una perdita di senso ed anche un suo accrescimento, tramite il disorientamento di una pratica che, per definizione, tende a ribaltare la comunicazione sociale, posta normalmente sotto il segno dello scambio unilaterale ed economico.
Sulla base di questo assioma il curatore ha scelto i 6 artisti provenienti dal continente più antico, l’Africa, ognuno di loro opera all’interno di una consapevolezza culturale, fortemente ancorato alle sue radici ed utilizza un linguaggio fatto di segni che lo stesso artista conosce molto bene e pertanto non cerca di domarlo, semmai di assecondarlo secondo procedimenti che implicano l’idea di progetto e di scelta. Il risultato invece viene lasciato ai suoi esiti liberi, fuori da qualsiasi attesa o preveggenza. Non è infatti l’artista ad essere preveggente, ma il linguaggio che cova dentro di sé immagini e risultati inusitati. L’artista conosce la tecnica della sopraffazione attiva del linguaggio che si basa sullo stordimento dei procedimenti creativi, abbassamento automatico delle tecniche compositive.
E’ questa la differenza tra arte africana e occidentale.
L’arte africana prima di quella contemporanea occidentale si è affrancata dalle servitù contenutistiche e cerca sempre il movimento della forma capace di trasfigurare ogni tema e portare sulla soglia del linguaggio ogni empito e slancio. Il linguaggio diventa il filtro attraverso cui passano segni, simboli e significati che vengono come vivificati e nello stesso tempo rielaborati nel passaggio della forma.
L’arte in questo senso trova il valore della spiritualità in se stessa, in quanto trasfigura ogni dettato visivo in un segno nuovo capace di dare durata e fissità esemplare all’istante e al transeunte. L’arte è sacra perché realizza il miracolo di dare durata all’impossibile durata della vita.
L’artista africano è dunque artefice, opera sui materiali depositati dentro la sua coscienza, nel magma della sua sensibilità che affronta la prova elaborata dell’opera, del risultato compiuto, il solo capace di garantire e di garantirgli lo statuto demiurgo.

TRANSAFRICANA
a cura di Achille Bonito Oliva
17 giugno – 16 ottobre 2011
chiusura estiva 1 agosto – 31 agosto
Inaugurazione 16 giugno 2011 h 18.00
Fondazione 107, Via Sansovino 234 Torino
giovedì – domenica 14.00 – 19.00
Ingresso 5,00 euro – 3,00 euro ridotto (dai 13 ai 18 e over 65)
Ingresso gratuito sino ai 12 anni e per i possessori di Abbonamento Musei Piemonte
Per informazioni:
www.fondazione107.it
info@fondazione107.it
tel. 011 4544474

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Feb 25



Per la prima volta quattro fondazioni, Compagnia di San Paolo, Fondazione Cariparma, Cariplo e Monte dei Paschi di Siena e 14 tra le principali ong italiane e associazioni della diaspora senegalese hanno realizzato insieme due importanti progetti a favore degli sfollati del Nord Uganda e a sostegno delle popolazioni rurali in Senegal.

Il progetto, una mostra fotografica itinerante dal titolo “AUTORITRATTO DI KALONGO. L’Africa raccontata da giovani apprendisti fotografi”, ideato per sensibilizzare l’opinione pubblica, e in particolare gli studenti delle scuole, sulla realtà dei campi sfollati in Nord Uganda, paese colpito e diviso da 25 anni di guerra civile, realizzato con il patrocino del Comune si Torino, è ospitato sotto i portici di piazza Palazzo di Città, di fronte a Palazzo Civico.
La mostra, che si è inaugurata questa mattina è curata da Paola Riccardi e raccoglie 24 scatti in bianco e nero sul tema dei “conflitti dimenticati” e i “ritorni a casa”. Le foto, realizzate da 20 giovani studenti ugandesi nell’ambito di un laboratorio tenuto da Fotografi Senza Frontiere onlus che si occupa di allestire laboratori permanenti di fotografia in aree critiche del mondo come strumento di educazione e di auto-rappresentazione, rimarranno esposte fino al 31 marzo.

I giovani ugandesi – alcuni dei quali erano presenti stamattina all’inaugurazione – hanno ripercorso e rappresentato la loro esperienza di sfollati fino a raccontare se stessi, i propri sogni e speranze per il futuro. Per un mese i ragazzi, con macchina fotografica in spalla e registratore alla mano, si sono trasformati in fotoreporter e hanno raccolto momenti di vita nel campo sfollati di Kalongo.

“Siamo lieti di ospitare questi progetti – ha sottolineato Ilda Curti, assessore alle politiche per l’integrazione della Città – in questo momento più che mai è importante, per raccontare quei luoghi, dar spazio allo sguardo dei ragazzi che li vivono”.

Dopo il grande successo delle prime tre tappe, la milanese al Castello Sforzesco, la senese nel Palazzo Comunale e la parmense sotto i Portici del Grano, il percorso educativo e di sensibilizzazione avviato con il progetto Fondazioni4Africa raggiunge Torino per poi concludersi, nell’autunno 2011, a Novara.
Parallelamente alla mostra, otto classi delle scuole medie e superiori torinesi, già coinvolte nel progetto, esporranno alla biblioteca di Cascina Roccafranca, una loro collettiva fotografica: quaranta scatti che fanno parte del percorso educativo svolto nell’ambito del progetto Fondazioni4Africa. Come i loro coetanei ugandesi e con il supporto di un fotografo volontario, anche gli studenti di Torino hanno lavorato in aula e sul territorio per raffigurare se stessi e il contesto sociale in cui vivono. “L’iniziativa vuole avvicinare le classi partecipanti ai due temi – ha spiegato Angelo Benessia, presidente della Compagni di San Paolo – attraverso il linguaggio universale della fotografia e provare a stabile un parallelismo tra il contesto degli studenti africani e quello dei ragazzi italiani per evidenziare i punti di contatto e le analogie di due realtà pur così diverse e lontane”.

[fonte TorinoClick]

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