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Mar 31


In via san Francesco d’Assisi all’angolo con via Monte di Pietà, è stato commemorato nel 26° anniversario della morte l’agente di Polizia Municipale Roberto Bussi, ucciso per aver notato movimenti sospetti intorno alla banca mentre era di pattuglia.
Presenti alla cerimonia i genitori, il Comandante della Polizia Municipale di Torino Alberto Gregnanini, l’assessore Giuliana Tedesco e una rappresentanza di colleghi.

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Ott 28


La lenta processione di chi ha conosciuto Alberto Musy e si era augurato nel miracolo che si riavesse e potesse tornare alla vita di sempre – almeno fino alla notte di martedì scorso – , si è interrotta poco dopo le 9, 30, quando il picchetto d’onore formato dal sindaco – in fascia tricolore -, da Giovanni Maria Ferraris e dai consiglieri Barbara Cervetti e Silvio Magliano, s’è sciolto.
Palazzo Civico ha vissuto una mattinata insolita, avvolto in un’atmosfera paralizzata, tra il fruscio dei saluti sussurrati, i lucciconi e gli abbracci, tanti abbracci per una cerimonia che mai nessuno s’era immaginata, almeno fino a stamattina.
“Come è stato possibile? – si chiederà il sindaco nel suo ultimo saluto – Era un uomo di 46 anni che non conosceva spirito polemico, astio e asperità. Un esempio di rigore etico. Un marito, un avvocato, un padre adorabile che quella mattina aveva accompagnato con l’allegria che gli era solita le sue bambine a scuola. L’assassino le ha private per sempre delle sue carezze, di quel lessico intimo, affettuoso, che accompagna l’adolescenza, causando una profonda nostalgia”.
“Questa città – ha sottolineato Fassino – ha conosciuto in anni non troppo lontani la tragedia degli attentati, dei soprusi, degli atti di violenza, ma ha saputo debellare quel tempo oscuro con una grande mobilitazione della coscienza civica. Anche oggi non dobbiamo rassegnarci e conoscere la verità. Da questa dolorosissima tragedia in cui siamo precipitati occorre risalire. Ne va della civiltà, dell’orgoglio di questa città democratica, che ha sempre avuto la capacità di rispettare tutti. Continueremo a perseguire verità e giustizia e a batterci contro ogni forma di violenza”.
Il presidente della Sala Rossa Ferraris ha aperto la serie di saluti affettuosi, commossi, a Alberto Musy nell’ultima permanenza in Sala Rossa. Già alle otto e trenta c’erano in attesa decine di persone: per testimoniare il lutto, sfiorare con una carezza il feretro, pronunciare una preghiera, stringere le mani alla signora Angelica, farle coraggio, formulare le condoglianze alla sorella Antonella.
Davanti alla bara di legno chiaro, coperta con un cuscino di rose bianche e tralci d’edera si sono soffermate decine e decine di persone: amici ed esponenti della politica. Fra questi il presidente dell’Udc Casini e il leader Lorenzo Cesa.
Ferraris ha ricordato il padre e l’amico Musy. Poi hanno parlato gli amici consiglieri, da Michele Curto ad Alessandro Altamura. Di grande spessore emotivo entrambi gli interventi. Curto si è rivolto direttamente al collega, immaginandolo vivo: “Ci hai costretto a ragionare sulla nostra fragilità. Non avevi paura della radicalità. Ciao Alberto, ti sia leggera la terra”, concludendo così, la voce rotta dall’emozione, con la traduzione italiana della locuzione latina Sit tibi terra levis.
Altamura sì è appoggiato ad Hanna Arendt per sfogare il dolore, sottolineando “come la banalità del male, quella violenza inutile nascosta da un casco” abbia strappato un’amicizia che durava da trentacinque anni, distruggendo l’esistenza di un costruttore di ponti, di dialogo.
Dario Troiano, subentrato in Sala rossa nel ruolo di consigliere proprio in sostituzione di Musy, ha chiesto che il suo banco resti vuoto per tutta la consiliatura, affinché “ continuino a parlare le sue idee”. Per Pierferdinando Casini “ci sono momenti in cui si preferirebbe tacere, perché è accaduta una tragedia che costringe a pensare al senso della politica”. Ha poi lodato la compostezza della famiglia :”Ci arriva una prova straordinaria di come si può stare vicino al proprio amato con una misura e una dignità straordinaria. Solo chi ha fede può dare un senso a questa vicenda”. Un passo ripreso poi dal sindaco: “Siamo tutti siamo consapevoli del peso enorme della sofferenza che è caduto sulla famiglia di Alberto. In tutti questi 579 giorni abbiamo ammirato il rigore umano e civico con cui la Signora Angelica ha sopportato un dolore così pesante”.
Poi il corteo funebre ha lasciato il Municipio per la messa alla Chiesa della Consolata per poi raggiungere il cimitero di Costigliole d’Asti per la tumulazione.

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Mag 09


E’ stata celebrata oggi pomeriggio nella Sala Rossa di Palazzo Civico la giornata dedicata alle Vittime del terrorismo e della stagione dello stragismo e il 35° anniversario dell’assassinio di Aldo Moro. Hanno contribuito a tratteggiare la figura dello statista Cesare Varetto, rappresentante del direttivo dell’Associazione italiana vittime del terrorismo e dell’eversione contro l’ordinamento costituzionale dello Stato e l’onorevole Guido Bodrato. Il 16 marzo 1978, le Brigate Rosse tesero ad Aldo Moro un agguato in via Fani, poco lontano dalla sua abitazione, nel corso del quale furono uccisi due carabinieri e tre poliziotti della scorta. Moro fu rapito e il suo corpo fu ritrovato 55 giorni più tardi, proprio il 9 maggio, in via Caetani, nel pieno centro storico della capitale, all’interno del portabagagli di quella Renault 4 rossa, destinata a divenire tristemente famosa. Aveva 61 anni quando la furia cieca dei brigatisti mossa da una rabbia incontenibile e ingiustificabile, al termine di una lunga segregazione ne ha decretato la morte.
“Sono trascorsi 35 anni da quelle drammatiche giornate, segnando uno spartiacque nella storia dell’Italia democratica – ha esordito il sindaco Piero Fassino -. Una delle eredità lasciate da Aldo Moro è stata la necessità di costruire sintesi, favorire l’incontro, modernizzare il Paese. Sentiva impellente la necessità di unire le forze popolare per dare un nuovo corso alla conduzione del Paese. La sua è stata una lezione di straordinaria laicità”. Il suo resta un pensiero attuale, ha spiegato Fassino, pronunciando un discorso accorato, nel corso del quale ha ricostruito le tappe fondamentali di quel percorso che vedeva le due maggiori forze politiche, Dc e Pci impegnate a pensare alla elaborazione di un pensiero che potesse dare all’Italia stabilità politica.
Moro fu un innovatore attento, serio, mai retorico. Seppe trovare un punto di equilibrio tra il suo essere uomo di fede e politico di primo piano nelle istituzioni.
Quello che la politica dovrebbe recuperare da Moro è la capacità costruire il futuro: aveva intuito che c’era bisogno di una nuova integrazione, e la sua resta una lezione di metodo:
“Ripensare a quel periodo oscuro che ha coinvolto così gravemente il nostro Paese vuol dire anche riconoscere che non fu così facile reagire collettivamente alle prime intimidazioni, ai primi attentati – ha sottolineato il sindaco-. Riflettere sugli anni di piombo, come in questa occasione, ci permette di rendere onore alle vittime e trasmettere alle nuove generazioni la testimonianza di quella stagione drammatica”.

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