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Feb 15


Si è svolta questa mattina, in corso Cincinnato all’angolo con via Pirano, la deposizione di una corona d’alloro davanti la lapide in ricordo dell’esodo degli italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia e in memoria delle vittime delle Foibe. Alla manifestazione sono intervenuti: Andrea Russi, consigliere comunale; Marco Novello, Presidente della Circoscrizione 5, Nadia Conticelli, Regione Piemonte e Antonio Vatta, presidente regionale dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.

Il Parlamento italiano, nel 2004, per rendere giustizia alle vittime e alla storia con un’apposita Legge istituì il 10 febbraio come Giorno del Ricordo, per conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo di 350mila italiani dalle terre istriane, fiumane e dalmate nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Il 10 febbraio è una data simbolo che si riferisce al 1947 quando entrò in vigore il Trattato di pace con cui le province di Pola, Fiume, Zara, parte delle zone di Gorizia e di Trieste, purtroppo, passarono alla Jugoslavia.

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Feb 10



Nel settantunesimo anniversario della tragedia delle foibe e dell’esodo degli Istriani, Fiumani e Dalmati, la Città ha ricordato le vittime e gli esuli con diverse cerimonie.

Sabato 10 febbraio è stata celebrata la messa al Duomo di Torino e successivamente la cerimonia al Cimitero Monumentale presso il Monumento loro dedicato, realizzato dallo scultore istriano Michele Privileggi. L’opera in bronzo e pietra è costituita da due sfere, simbolo di due mondi, che si incontrano e si espandono. Alla commemorazione erano presenti le Autorità civili, religiose e militari ed il Comitato di Torino dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (A.N.V.G.D).

Nella Sala Rossa di Palazzo Civico si è svolta, venerdì 9, la celebrazione ufficiale del Giorno del Ricordo 2018 alla presenza della autorità civili e militari e delle associazioni di esuli.

Riportare la memoria alla tragedia delle foibe e dell’esodo di istriani, fiumani e dalmati è lo scopo del Giorno del Ricordo, istituito il 10 febbraio di 13 anni fa per riportare all’attenzione degli italiani una triste pagina della nostra storia.

Le occupazioni tedesca e italiana del nord della Jugoslavia nel corso del secondo conflitto mondiale scatenarono una reazione antitaliana nel nord della Jugoslavia e i partigiani di Tito si spinsero ad occupare gran parte dei territori italiani di confine. Grazie all’intervento degli Alleati, in prima istanza delle truppe neozelandesi, la loro avanzata venne fermata, ma nei territori occupati, contro i nostri connazionali, si scatenò una dura repressione, con deportazioni e uccisioni di massa. Nelle foibe, grotte naturali che puntellano la superficie del Carso, tra il 1943 e il 1947, vennero uccise almeno 20mila persone e 250mila persone dovettero fuggire e in gran parte emigrare.

Altri appuntamenti si terranno la settimana successiva: giovedì 15 alle 10,30 la posa della corona sulla targa posta in via Pirano, nel quartiere Vallette, e il concerto dell’Orchestra Mandolinistica della Città di Torino domenica 18 alle 20,30 nella sala del Conservatorio .

Tutti gli appuntamenti e tutte le informazioni sono disponibili nell’opuscolo stampato dalla Città di Torino.

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Feb 10


“Una ferita mai rimarginata, un dramma per anni dimenticato”. Con queste parole il presidente del Consiglio Comunale di Torino, Fabio Versaci, ha aperto la cerimonia in Sala Rossa per il Giorno del Ricordo. Una celebrazione istituita con la legge 92 del 2004 per non dimenticare le vittime delle fobie e l’esodo di istriani, fiumani e dalmati all’indomani dei Trattati di Parigi del 1947, con cui l’Italia cedeva alla Jugoslavia la città di Fiume, il territorio di Zara, le isole di Lagosta e Pelagosa, gran parte dell’Istria, del Carso triestino e goriziano e l’alta valle dell’Isonzo.

Una carneficina, quella delle foibe, dettata dall’odio, politico e ideologico, come ha sottolineato Versaci. E un esodo che ha colpito migliaia di persone (8mila quelle arrivate a Torino), per troppi anni dimenticato, come ha evidenziato Nino Boeti, vicepresidente del Consiglio regionale del Piemonte e presidente del Comitato Resistenza e Costituzione.
Fu uno “sterminio ideologico, sociale e politico”, ha spiegato Boeti. Una tragedia negata per tanto tempo nel nostro Paese, relegandola a una questione regionale. E che ci invita oggi a riflettere – ha concluso Boeti –sui confini che l’Europa sta proponendo e sugli improponibili muri che si vogliono alzare.
È quindi intervenuto Antonio Vatta, presidente dell’associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia – sezione di Torino. Andato via da Zara a 10 anni, ha vissuto 12 anni in un campo profughi, per poi diventare un esule, “la cosa più brutta del mondo: si rimane senza patria tutta la vita”. La patria – ha detto – è stata matrigna con noi, E ancora oggi aspettiamo un indennizzo definitivo, che penso non ci sarà mai. Ho imparato tanto nel campo profughi, ho assimilato la nostra cultura e imparato a rispettare le Istituzioni, anche se ci hanno accolto malamente e ancora oggi subiamo offese”.

Ha quindi preso la parola la sindaca Chiara Appendino, che ricordato come il prezzo pagato dalle popolazioni italiane sia stato altissimo e si possa riassumere in tre parole: foibe, esodo, oblio. Con migliaia di persone e famiglie che hanno subito il dolore della perdita della propria terra e dell’oblio, colpiti da strumentalizzazioni ideologiche. Una diaspora umana – ha dichiarato – dimenticata per mezzo secolo, che oggi ci invita a una crescita collettiva, a fare in modo che la memoria sia più forte della violenza. In un momento in cui nel mondo le barriere crescono – ha concluso la sindaca – dobbiamo lavorare tutti insieme per costruire una comunità più coesa, in cui ciascuno contribuisca ad accrescere il benessere collettivo.

Infine, il Prefetto di Torino, Renato Saccone, ha consegnato i riconoscimenti del presidente della Repubblica Sergio Mattarella ai familiari delle vittime delle foibe e ha ricordato come le ferite siano quelle del popolo italiano – non solo degli esuli – che nel dolore deve sapere ritrovare il senso della comunità, sempre nel rispetto della verità storica. Il ricordo – ha affermato Saccone – deve diventare seme di concordia, e non di rancore, rinforzando il senso della cittadinanza europea.

[fonte: CittAgorà]

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