preload
Feb 15


Si è svolta questa mattina, in corso Cincinnato all’angolo con via Pirano, la deposizione di una corona d’alloro davanti la lapide in ricordo dell’esodo degli italiani dall’Istria, da Fiume e dalla Dalmazia e in memoria delle vittime delle Foibe. Alla manifestazione sono intervenuti: Andrea Russi, consigliere comunale; Marco Novello, Presidente della Circoscrizione 5, Nadia Conticelli, Regione Piemonte e Antonio Vatta, presidente regionale dell’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia.

Il Parlamento italiano, nel 2004, per rendere giustizia alle vittime e alla storia con un’apposita Legge istituì il 10 febbraio come Giorno del Ricordo, per conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo di 350mila italiani dalle terre istriane, fiumane e dalmate nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale. Il 10 febbraio è una data simbolo che si riferisce al 1947 quando entrò in vigore il Trattato di pace con cui le province di Pola, Fiume, Zara, parte delle zone di Gorizia e di Trieste, purtroppo, passarono alla Jugoslavia.

Taggato con:
Mar 28


E’ stato intitolato alla “Vittime delle foibe” il giardino che si trova tra i corsi Molise, Grosseto e strada delle Vallette, nel lato adiacente via Ambrosini, per conservarne e rinnovarne la memoria vittime dei massacri delle foibe e dell’esodo giuliano-dalmata.
La cerimonia si è svolta questa mattina alla presenza di autorità politiche, civili e militari, con il Gonfalone della Città di Torino.
Le foibe sono cavità di origine naturale presenti sul Carso (altipiano alle spalle di Trieste e dell’Istria). Alla fine della seconda guerra mondiale le truppe del regime di Tito vi gettarono migliaia di persone, alcune dopo averle fucilate, alcune ancora vive, “colpevoli” di essere italiane o contrarie al regime comunista. Gli infoibati erano prevalentemente italiani, ma tra loro vi erano anche sloveni e croati.
Una Legge italiana istituì il Giorno del Ricordo per conservare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe e dell’esodo di 350.000 italiani dalle terre istriane, fiumane e dalmate che dopo il Trattato di pace purtroppo passarono alla Jugoslavia.

Terra di vento e cicale
Nel chiuso e silenzioso clamore
del mio febbrile pensare,
ricerco una irraggiungibile meta,
una ragione per tanta tenebra d’affanni
e per i sogni abbandonati
lungo i binari del destino.
Al tempo trascorso
ed alla mia natia terra
di rocce, vento e cicale,
molti fili ancora mi legano.
Vorrei essere vela,
o forse nube
per andare là,
ed immedesimarmi nel morire del giorno,
nella terra che s’oscura
e nel tenero abbraccio della sera.
Eleonora Manzin, poetessa, esule da Valle d’Istria

Taggato con:
Feb 15


Venerdì 15 febbraio, 11 di mattina. Se non fossimo ai piedi delle Alpi invece che sulle rive dell’Adriatico, ascoltando le voci intorno a noi ci sembrerebbe di camminare sul lungomare di Pola o tra i vicoli di Zara. La carreggiata di corso Cincinnato è piena di gente, tanti altri si sono affollati sul giardinetto che funge da spartitraffico.
E‘ una giornata importante per i torinesi di origine istriana e dalmata, che sono venuti qui almeno in trecento: teste grigie ma anche un po’ di giovani, discendenti di quegli italiani fuggiti dai territori assegnati alla Jugoslavia all’indomani della Seconda guerra mondiale. Territori dove italiani, sloveni e croati avevano bene o male convissuto senza troppi problemi per secoli sotto il governo asburgici. Un equilibrio rotto dalla parentesi fascista, con l’”italianizzazione” forzata di quelle terre ricongiunte all’Italia dopo la sconfitta e la disgregazione dell’Austria-Ungheria, nel 1918. E poi, la Seconda guerra mondiale, la sconfitta del nazifascismo, l’assegnazione alla Jugoslavia dell’Istria, di Fiume, di Zara. Le rappresaglie sanguinose dei soldati del presidente Josip Broz, Tito, l’esodo verso l’Italia tra il ’46 e il ’51 di trecentocinquantamila persone.
Come molti esuli giuliani amano ricordare, si trattò di un dramma rimosso per decenni. Una parte dell’opinione pubblica riteneva che si trattasse di fascisti e latifondisti, in più la rottura fra Tito e l’Unione Sovietica, in tempi di Guerra Fredda, consigliava di evitare troppe tensioni con Belgrado… Alla fine, la verità storica si è fatta strada, nonostante pregiudizi, propagande incrociate e realpolitik. Ma il calvario dei profughi continua, anche se in modo meno drammatico. Infatti, questa giornata è importante perché si inaugura, in corso Cincinnato angolo via Pirano, la lapide in ricordo dell’esodo giuliano frantumata a martellate una delle scorse notti.
Un episodio non isolato, ricorda uno degli animatori dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, Sergio Vatta: “Assistiamo al rinascere del negazionismo sull’esodo giuliano e sul dramma delle foibe, inteso a minimizzare quella vicenda e dandole una veste antifascista“ denuncia Vatta, aggiungendo: “Siamo invece italiani che hanno sofferto a causa del fascismo e a causa del comunismo. Occorrerebbe provvedere anche politicamente a contrastare il negazionismo, che oltretutto manca di rispetto ai 600.000 italiani caduti per le terre irredente”. Ma c’è anche altro un altro cruccio, e non da poco perché non riguarda bande di intolleranti ma le istituzioni stesse. Lo sottolinea con tono fermo ma pacato un altro esponente dell’associazionismo giuliano, Fulvio Aquilante. Spesso la burocrazia, nei suoi documenti, considera i profughi giuliani come nati all’estero, assimilandoli a cittadini extracomunitari. Ne è un esempio il codice fiscale, per il quale il cittadino italiano di origine istriana o dalmata risulta essere uno straniero. Un problema spesso legato ai software dei quali dispongono le diverse branche della Pubblica amministrazione. “Vorremmo istituire un tavolo tra noi e le Istituzioni per cercare di risolvere questo problema, che nella sua banalità riapre quotidianamente una ferita profonda in ognuno di noi”. Dopo i saluti dei rappresentanti delle istituzioni locali (per la Città di Torino, il presidente del Consiglio comunale e la presidente della V Circoscrizione) è risuonato l’Inno di Mameli: senza banda musicale, senza base registrata. Poche voci timide e quasi stonate all’inizio, divenute alla fine un coro commosso e possente.

[fonte: cittAgorà]

Taggato con: